Gennaio / Febbraio 2018
Per chi sono io?
La prima domanda che ci poniamo appena cominciamo ad avere la percezione di noi stessi è: chi sono io? Oggi, in modo particolare, il pronome IO, di cui ci riempiamo la bocca, ci sta portando all’esaltazione, quasi maniacale, dell’egocentrismo e del narcisismo, ci allontaniamo sempre di più dall’altro, anzi costruiamo muri sempre più solidi, più impenetrabili. Nel libro della Genesi (2,18-24) leggiamo: ”Poi Dio, il Signore, disse: Non è bene che l’uomo sia solo, voglio fargli un aiuto che gli sia simile…”. L’uomo aveva bisogno di un altro se stesso, di un aiuto non nel senso servile, ma aiuto che “sta di fronte a lui”; la creazione della donna (l’altro) sul piano esistenziale ha un valore immenso, solo la donna (l’altro) è in grado di liberarlo dalla solitudine e fargli compiere questo primo esodo da se stesso. Dio, nella sua creazione, ha compiuto il suo grande progetto di realizzazione piena della nostra umanità. Il rapporto con la vita non è pieno finché l’uomo è solo! Nell’incontro con l’altro c’è il riconoscimento dell’umano che c’è in noi, nell’incontro con l’altro il mio io si costituisce e si costruisce. Il Papa, nella veglia di preghiera in preparazione alla giornata mondiale della gioventù, si è rivolto ai giovani con questa riflessione: “Tante volte nella vita perdiamo tempo a domandarci: ma chi sono io? Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: Per chi sono io?... non chi sono io, questo viene dopo…” Ecco, significa cambiare la prospettiva della domanda: senza te chi sono io? Non è un’alternativa, è semplicemente un ordine inverso rispetto a quello che la nostra civiltà, per il momento, ha scelto come criterio. La domanda ”per chi sono io” porta in primo piano il tema della destinazione, alla quale noi soltanto possiamo dare forma e bellezza di vita. La nostra vocazione, appunto! Mi risuonano, a questo punto le parole di Don Bosco: “Io, per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono anche disposto a dare la vita”. Grandezza del nostro Fondatore, disposto a dare la vita per il bene del giovane solo, pericolante, escluso dalla società. VIVO, allora, IO SONO se faccio spazio alla com- passione ( dal latino cum- passio) , se, cioè, mi faccio carico di te, della tua vita in tutta la sua interezza, sull’esempio di Gesù Maestro, che “vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite”….( Mt. 35-36). Nel linguaggio di Gesù compassione è una parola che ha a che vedere con “viscere”. È un sentimento, o meglio, uno sconvolgimento che prende nell’intimo: “viscerale” appunto. Anche la Strenna del Rettor Maggiore: “Signore, dammi di quest’acqua. Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare”, ci spinge a cogliere l’attesa delle persone, ad avvertire la loro esigenza più immediata, il passaggio dal sentimento all’intervento , all’azione e questo presuppone una capacità di ascolto e di accoglienza.
Concetta Apolito